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Secondo la Relazione annuale della Covip, alla fine del 2022 il numero di fondi pensione in Italia ammontava a 332, distribuiti nelle seguenti categorie: 33 fondi negoziali, 40 fondi aperti, 68 piani individuali pensionistici (PIP) e 191 fondi pensione preesistenti. Tale dati indicano una tendenza alla riduzione del numero di forme pensionistiche nel sistema, in quanto nel 1999 erano presenti 739 forme, oltre il doppio rispetto alla situazione attuale.
Gli iscritti e le adesioni
A fine 2022, il numero totale di persone iscritte alla previdenza complementare in Italia è stato di 9,2 milioni, registrando una crescita del 5,4% rispetto all’anno precedente. Questo corrisponde a un tasso di copertura del 36,2% rispetto al totale delle forze di lavoro.
La distribuzione degli iscritti è la seguente: i fondi negoziali contano 3,7 milioni di iscritti, i fondi aperti hanno quasi 1,8 milioni di iscritti, mentre i PIP “nuovi” annoverano 3,5 milioni di iscritti. Vi sono inoltre circa 650.000 iscritti ai fondi pensione preesistenti.
In termini di genere, gli uomini rappresentano il 61,8% degli iscritti alla previdenza complementare (73% nei fondi negoziali), confermando il divario di genere che si è manifestato negli anni precedenti. È inoltre evidente un divario generazionale, con una distribuzione per età che evidenzia la prevalenza delle classi di età intermedie e prossime all’età pensionabile: il 48,9% degli iscritti ha un’età compresa tra 35 e 54 anni, il 32,3% ha almeno 55 anni, mentre solo l’18,8% è sotto i 35 anni. Questa situazione è sostanzialmente simile a quella rilevata cinque anni fa.
Dal punto di vista geografico, la maggioranza degli iscritti risiede nelle regioni del Nord, rappresentando il 57,1% del totale.
Risorse, contributi e prestazioni
Alla fine del 2022, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari in Italia ammontano a 205,6 miliardi di euro, registrando una diminuzione del 3,6% rispetto all’anno precedente a causa delle performance negative dei mercati finanziari. Questo importo rappresenta il 10,8% del PIL e il 4% delle attività finanziarie delle famiglie italiane.
I contributi raccolti nel corso dell’anno ammontano a circa 18,2 miliardi di euro. In tutte le forme pensionistiche complementari, il flusso di contributi del 2022 è in crescita rispetto al 2021: sono stati raccolti 6,1 miliardi di euro nei fondi negoziali (+4,6%), 2,8 miliardi di euro nei fondi aperti (+7,8%), 5 miliardi di euro nei PIP (+2,4%) e 4,1 miliardi di euro nei fondi preesistenti (+1,5%).
Dei 9,2 milioni di iscritti complessivi, circa 6,7 milioni hanno effettuato o ricevuto contributi sulle proprie posizioni nel corso del 2022, rappresentando circa tre quarti del totale. La media dei contributi versati da questi iscritti ammonta a 2.770 euro.
Gli iscritti che non hanno versato contributi (o per i quali non sono stati effettuati versamenti) ammontano a circa 2,5 milioni e sono più frequentemente presenti nelle forme di mercato e tra i lavoratori autonomi. Tuttavia, una parte significativa di questi iscritti sono lavoratori dipendenti iscritti a fondi pensione negoziali con modalità contrattuali, specialmente in settori come l’edilizia, caratterizzati da elevata discontinuità occupazionale.
Le uscite per prestazioni pensionistiche ammontano a 11,2 miliardi di euro. Le prestazioni sono state erogate in forma di capitale per 4,6 miliardi di euro e in forma di rendita per 440 milioni di euro. I riscatti ammontano a 2 miliardi di euro, mentre le anticipazioni raggiungono i 2,3 miliardi di euro.
Nel corso dell’anno sono state erogate circa 1,6 miliardi di euro di rendite integrative temporanee anticipate (RITA), principalmente concentrati nei fondi pensione preesistenti.
L’allocazione degli investimenti
L’allocazione degli investimenti effettuati dai fondi pensione, escludendo le riserve matematiche presso le imprese di assicurazione e i fondi interni, mostra una prevalenza della quota investita in obbligazioni governative e altri titoli di debito, che rappresentano il 54,6% del patrimonio. In particolare, il 15,4% di tali titoli è costituito dal debito pubblico italiano.
La percentuale di investimenti in titoli di capitale si attesta al 20%, in calo rispetto al 22,6% del 2021, mentre le quote di Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio (OICR) sono passate dal 16% al 15,3%. I depositi rappresentano il 6,5% del patrimonio complessivo.
Gli investimenti immobiliari, sia in forma diretta che indiretta, sono presenti principalmente nei fondi pensione preesistenti e rappresentano circa l’1,9% del patrimonio, mostrando una sostanziale stabilità rispetto al 2021.
Complessivamente, il valore degli investimenti dei fondi pensione nell’economia italiana, includendo titoli emessi da soggetti residenti in Italia e immobili, ammonta a 35,5 miliardi di euro, pari al 20,9% dell’attivo. Questo valore è diminuito sia in valore assoluto che in termini percentuali rispetto al 2021 (rispettivamente 40 miliardi e 22,7%). I titoli di Stato rappresentano la maggior parte di tali investimenti, ammontando a 26,1 miliardi di euro.
Gli investimenti in titoli di imprese domestiche rimangono contenuti, riflettendo anche le dimensioni limitate del mercato azionario nazionale. L’ammontare totale degli investimenti in imprese domestiche è di 4,1 miliardi di euro, che rappresenta meno del 3% delle attività dei fondi pensione. Di questi, 2,6 miliardi sono investiti in obbligazioni, 1,5 miliardi in azioni e 1,8 miliardi tramite quote di OICVM. Gli investimenti immobiliari in Italia ammontano a circa 2,8 miliardi di euro.
I rendimenti e i costi
I risultati di gestione delle forme pensionistiche complementari sono stati influenzati dalle turbolenze dei mercati finanziari, sia per le linee di investimento a maggiore contenuto azionario che per quelle obbligazionarie.
I comparti azionari hanno registrato perdite medie del 11,7% nei fondi negoziali, del 12,5% nei fondi aperti e del 13,2% nei PIP. Anche le linee bilanciate hanno riportato rendimenti medi negativi in tutte le forme pensionistiche, con perdite del 10,5% nei fondi negoziali, del 11,5% nei fondi aperti e del 12,3% nei PIP.
Anche i comparti obbligazionari hanno subito perdite significative. Gli obbligazionari misti hanno perso il 10,3% nei fondi negoziali e il 7,6% nei fondi aperti, mentre gli obbligazionari puri hanno registrato perdite del 3,5% nei fondi negoziali e del 10,9% nei fondi aperti.
Tuttavia, valutare correttamente la redditività del risparmio previdenziale non può limitarsi ai rendimenti di un singolo anno, ma deve considerare periodi più lunghi coerenti con gli obiettivi di investimento a lungo termine. Su un periodo di osservazione decennale (dal 2012 al 2022), i rendimenti medi annuali composti delle linee a maggiore contenuto azionario si sono collocati tra il 4,7% e il 4,9% per tutte le forme pensionistiche. Al contrario, le linee obbligazionarie hanno mostrato rendimenti medi vicini allo zero, mentre le linee bilanciate hanno generato rendimenti medi compresi tra l’1,7% dei PIP di tipo unit linked e il 2,9% dei fondi aperti. Il tasso di rivalutazione medio annuo del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) è stato del 2,4%.
Oltre all’allocazione degli asset adottata, le differenze di rendimento tra le forme pensionistiche sono influenzate anche dai diversi livelli di costo. Nel corso di dieci anni, l’Indicatore Sintetico dei Costi (ISC) per i fondi pensione negoziali è stato dello 0,47%, mentre per i fondi pensione aperti è stato dell’1,35%. Per i PIP, l’ISC medio è stato del 2,17%.
Il livello più basso dei costi per i fondi pensione negoziali è dovuto anche alla dimensione dei fondi, che genera economie di scala grazie alla ripartizione dei costi amministrativi. Per le forme di mercato, invece, il costo potrebbe essere influenzato dalla remunerazione delle reti di vendita.
Prospettive per la previdenza complementare
In uno scenario particolarmente difficile, il sistema italiano della previdenza complementare ha dimostrato una sostanziale resistenza, secondo quanto riferito dalla Covip. Nonostante le perdite subite nel 2022, le adesioni e le contribuzioni sono aumentate come negli anni precedenti. I rendimenti, valutati su un orizzonte temporale di medio-lungo periodo e confrontati con i tassi di rivalutazione del TFR, rimangono in media positivi e sostanzialmente in linea con le aspettative.
Tuttavia, l’Authority evidenzia le difficoltà strutturali che rendono necessario uno sviluppo significativo della previdenza complementare in Italia, ma che allo stesso tempo lo rendono estremamente difficile da realizzare.
La stabilità dei flussi di nuovi iscritti e di contributi, nonostante le avverse circostanze, ha confermato il fondamentale dualismo del sistema. Questo sistema tende ad accogliere principalmente uomini di età matura, residenti nel Nord del Paese, impiegati in imprese ragionevolmente solide e in grado di garantire un flusso costante di finanziamenti. D’altra parte, le donne, i giovani e i lavoratori del Sud del Paese continuano ad essere meno rappresentati. Ciò significa che le categorie più vulnerabili, che avrebbero maggior bisogno di una solida sicurezza previdenziale per il futuro, faticano ad accedere al mondo della previdenza complementare.
A livello internazionale, nei paesi in cui la previdenza di base ha un ruolo e un’impronta maggiori, il sistema privato tende ad essere meno sviluppato in proporzione al PIL. Viceversa, nei paesi in cui il sistema pensionistico pubblico ha un ruolo più limitato, il sistema privato assume dimensioni più significative.
Tuttavia, a lungo termine, la demografia emerge come il principale fattore strutturale che influenzerà la previdenza complementare. L’Italia è caratterizzata da un rapido processo di invecchiamento della popolazione, il quale avrà un impatto significativo sulle prospettive di crescita economica del Paese, nonché sulla rivalutazione dei contributi versati al sistema pensionistico pubblico nel corso del tempo. I giovani sono quelli a rischio di essere penalizzati, in quanto hanno maggiori difficoltà a partecipare ai fondi pensione che, verosimilmente, potrebbero offrire rendimenti più elevati rispetto alla rivalutazione prevista dei contributi versati al sistema pensionistico pubblico.
Quali interventi potrebbe intraprendere il decisore politico per affrontare queste sfide?
Secondo la Covip, sarebbe necessario considerare il ruolo di interventi mirati sul sistema degli incentivi all’adesione e alla contribuzione per facilitare, in particolare, l’inclusione delle fasce più deboli di lavoratori e promuovere una maggiore equità intergenerazionale. In questo contesto, l’aumento del limite di deducibilità dei contributi appare un intervento di scarsa incisività, considerando che solo i lavoratori ad alto reddito sono in grado di dedurre i contributi fino al limite massimo consentito, mentre il contributo medio è molto inferiore.
La crescente presenza di carriere frammentate e salari piatti evidenzia che coloro che hanno maggior bisogno di un’integrazione del reddito pensionistico sono meno in grado di partecipare alla previdenza complementare. Pertanto, sarebbe opportuno ridefinire gli incentivi fiscali in base al reddito degli iscritti, prevedendo eventualmente un intervento diretto dello Stato a sostegno di determinate categorie, soprattutto dei giovani.
Sarebbe anche opportuno considerare la possibilità di riportare in anni successivi la deducibilità dei contributi non utilizzati in un determinato periodo fiscale.
Altri interventi non finanziari potrebbero riguardare il design del sistema previdenziale. Ad esempio, nonostante i rendimenti a lungo termine delle linee azionarie di tutte le forme pensionistiche abbiano dimostrato risultati soddisfacenti, tali linee sono poco diffuse tra gli iscritti, compresi i giovani che avrebbero un orizzonte temporale adatto ad affrontare eventuali fasi negative del mercato. Per migliorare l’efficacia delle scelte, sarebbe opportuno rivedere la linea di default per gli iscritti silenziosi, basandola sull’approccio del ciclo di vita, che prevede un’iniziale esposizione più elevata alle azioni, caratterizzate da una maggiore volatilità ma anche da rendimenti attesi più alti, e una progressiva riduzione di tale esposizione all’avvicinarsi della pensione. Ciò sarebbe in linea anche con le raccomandazioni dell’OCSE.
Inoltre, potrebbero essere esplorate iniziative volte a promuovere la proposta di prestazioni previdenziali che contribuiscano, in parte diversa dalla semplice erogazione del capitale accumulato, ad attenuare il rischio di longevità. Ad esempio, potrebbe essere presa in considerazione l’erogazione programmata di una cifra fissa o l’erogazione di rendite vitalizie differite che iniziano solo a un’età molto avanzata.
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